martedì 21 Marzo 2023
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Si laurea solo l’11,2% di chi lavora prima dei 16 anni, al Sud i dati peggiori

L'Italia è maglia nera in Europa con il 9,9% dei giovani che lasciano prematuramente gli studi, al Sud i picchi più alti. L'indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Solo l’11,2% dei ragazzi italiani che inizia a lavorare a 16 anni si laurea e l’Italia é maglia nera in Europa con 9,9% giovani 18-24 anni che lasciano troppo presto gli studi. È uno dei dati che emergono dall’indagine “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali”, realizzata dall’Ufficio Studi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. La disaffezione verso i processi formativi e la crescita della povertà familiare, osservano gli analisti, rischiano di lasciare campo libero all’aumento del lavoro minorile in Italia nel post pandemia e alla creazione di una platea di lavoratori senza le necessarie competenze per scalare la piramide professionale.

nel Mezzogiorno il tasso di abbandono scolastico è più alto

Dallo studio emerge che malgrado una curva tendenziale positiva nel contrasto al fenomeno – complice il rafforzamento della normativa e la maggiore attenzione all’abbandono scolastico – l’Italia è maglia nera nel panorama europeo per la quota di giovani dai 18 ai 24 anni che hanno lasciato prematuramente gli studi (9,9%), assieme alla Spagna. Soprattutto nel Mezzogiorno, con punte in Sicilia e Campania rispettivamente del 19,4% e 17,3%.

Tra gli attuali occupati in Italia con età compresa tra 16 e 64 anni, si legge nell’indagine, circa 2,4 milioni hanno svolto un qualche tipo di attività lavorativa prima del sedicesimo compleanno. Un fenomeno di irregolarità che si conferma ancora diffuso tra i giovani e penalizza le prospettive di formazione e lavoro: nel 2020, erano oltre 230mila, su 4,9 milioni di occupati con meno di 35 anni, a dichiarare di aver ricevuto una retribuzione già prima dei 16 anni.

il lavoro minorile abbatte possibilità di raggiungere vertici della piramide professionale

Secondo le stime, elaborate dai microdati dell’indagine Forze di lavoro dell’Istat, sono evidenti le ricadute del lavoro minorile sulle prospettive di vita dei giovani coinvolti: chi inizia a lavorare prima dei 16 anni nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media; solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Diversamente, tra chi entra nel mondo del lavoro in età legale, sono solo 18 su 100 coloro che si fermano alla scuola media inferiore mentre la percentuale dei laureati sale al 27,3%. Così, in una catena consequenziale, il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi. Tra questi, 7 su 10 sono uomini – più propensi ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate rispetto alle donne – e vivono nelle regioni del Nord (57,1%) dove sono maggiori le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo, specie nelle regioni a più alta vocazione turistica (Trentino Alto Adige, 17,9%; Val d’Aosta, 10,6%; Sardegna, 10,3%).

“La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società, determinate dall’emergenza sanitaria, invertano la rotta” afferma Rosario De Luca, presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “I dati confermano, ancora una volta, che l’investimento in formazione e competenze è vincente in una prospettiva che guarda alle opportunità future, dei singoli e del Sistema Paese” sottolinea infine De Luca.

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