Un organismo di potere e poteri allo stato sconosciuto. Un sistema pancriminale affiorato nelle inchieste, ma di cui ancora non si conosce il nome.
Lo svela per la prima volta in un’intervista esclusiva a “Mappe Criminali”, produzione Invisible Dog per SkyItalia/Tv8 con il giornalista Daniele Piervincenzi, un ex uomo di vertice di una delle più importanti famiglie della ‘Ndrangheta, che ha personalmente guidato la conquista di Milano a partire dagli anni ’80. È a quel livello – rivela – che la ‘Ndrangheta è diventata tutt’uno con quel coacervo di intrecci economici, politici e di sicurezza nazionale che solitamente si definisce come Stato deviato, ma che forse così deviato non è. Ed è lì – specifica – che convergono pluralità di entità capaci di determinare e di influenzare il destino dell’Italia e non solo.
il potere che si nasconde
A quel circolo esclusivo solo pochissimi possono accedere. Perché il potere – insegnano le inchieste – se è vero si nasconde. A Reggio Calabria però con il processo Gotha il velo sulla ‘Ndrangheta invisibile si inizia a sollevare. La città dei Moti e del tentato golpe Borghese è il regno del clan De Stefano, la famiglia che da più di mezzo secolo governa la città dello Stretto e che ha visto l’avvocato Giorgio De Stefano condannato come elemento di vertice di una struttura segreta dei clan: la Direzione Strategica. Un organismo composto da persone affrancate dalla struttura militare o visibile che dir si voglia, il cui compito è quello di dialogare con la massoneria, la politica, lo Stato e la Chiesa.
la capitale morale d’Italia
A processo per le stesse accuse c’è l’avvocato Paolo Romeo, ex parlamentare, eminenza grigia della politica calabrese e reggina da quasi mezzo secolo, già condannato per concorso esterno in associazione mafioso e oggi imputato come elemento di vertice della direzione strategica dei clan, che si difende: “Ho solo fatto politica”. Ma per l’accusa è lui l’ideatore di quel piano criminale che ha cancellato la democrazia a Reggio Calabria e trasformato lo Stato in tutte le sue articolazioni politiche territoriali in una grande macchina di riciclaggio di capitali sporchi.
Un fiume carsico che e non si è mai interrotto e inizia negli anni Ottanta, in quella che all’epoca si autoproclamava capitale morale d’Italia. “Perché prendersi Milano significava prendersi il Paese intero” spiega l’ex stratega di una delle più importanti famiglie di ‘Ndrangheta della Calabria e fra i pionieri del narcotraffico mondiale.
Platì e Buccinasco, la Platì del nord
Erano gli anni in cui i fratelli Antonio, Domenico e Rocco Papalia si prendevano Buccinasco, Corsico e i paesi dell’hinterland a sud di Milano presto ribattezzate le “Platì del Nord”. Lì dove i sindaci vengono minacciati e intimiditi come in Calabria e i rifiuti vengono sversati nelle campagne circostanti. Ed è lì dove oggi è tornato a vivere il boss Rocco Papalia, scarcerato dopo aver finito di scontare una pena a 26 anni, e che rivendica di fronte alle telecamere di “Mappe Criminali” di aver costruito “mezza Buccinasco”.
Nella “sua” Platì, che del narcotraffico è ed è stata cuore e capitale, i soldi della coca però non si vedono, così come non si vede la città nascosta di tunnel e gallerie che hanno permesso e permettono ancora a ricercati e latitanti di sfuggire a blitz e arresti. Perché a Platì nulla è come sembra. Il paese che si inginocchia davanti alle statue donate da famiglie di boss veri o presunti o che protesta perché agli uomini dei clan si vietano le pubbliche esequie, è solo lo specchietto per le allodole di un sistema più complesso ma utile perché la ‘Ndrangheta “vuole – racconta chi l’ha guidata dall’interno – farci vedere quello che noi vogliamo vedere”.