martedì 21 Marzo 2023
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460mila pmi a rischio chiusura per Covid

I dati del 2° Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana: causa Covid, l’11,5% del totale delle pmi italiane nel 2021 potrebbe non esserci più. A rischio 80 miliardi di fatturato, 1 milione di posti di lavoro


460.000 piccole imprese italiane (con meno di 10 addetti e sotto i 500.000 euro di fatturato) sono a rischio chiusura a causa dell’epidemia. Il 2° Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana dipinge un pessimo scenario: l’11,5% del totale delle pmi italiane nel 2021 potrebbe non esserci più, abbattuto dall’emergenza Covid.
Il rapporto è stato realizzato dal Censis – in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili – attraverso la ricognizione delle valutazioni di un ampio campione di 4.600 commercialisti italiani, “sensori diffusi sul territorio, affidabili e autorevoli dello stato dell’economia reale”.

80 miliardi di fatturato, 1 milione di posti di lavoro

È in gioco un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro e quasi un milione di posti di lavoro. Il Covid-19 potrebbe spazzare via il doppio delle microimprese che sono morte tra il 2008 e il 2019, come conseguenza della grande crisi.

Il 29% dei commercialisti rileva che più della metà delle microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato; il dato scende al 21,2% nel caso dei commercialisti che si occupano di imprese medio-grandi.
Quindi 370.000 pmi hanno subito un crollo di più della metà dei ricavi da quando è comparso il Covid. Inoltre il 32,5% dei commercialisti registra in più della metà della clientela una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno; il dato scende al 26,2% tra i commercialisti che seguono imprese di maggiori dimensioni. Vale a dire: 415.000 piccole imprese oggi dispongono di meno della metà della liquidità di un anno fa.

pmi e Covid: i dubbi sugli interventi pubblici

Le misure pubbliche adottate durante l’emergenza ottengono una valutazione tra luci e ombre da parte dei commercialisti. Che giudicano positivamente (45,2%, negativamente il 34%) il sostegno alle pmi a seguito del Covid (moratoria sui mutui, garanzie statali sui prestiti). Gli aiuti al lavoro (divieto di licenziamento, ricorso alla Cassa integrazione in deroga) sono promossi dal 43,4%, bocciati dal 34,9%. Il sostegno alle famiglie (bonus babysitter, congedi parentali, Reddito di emergenza) è visto con favore dal 36,6%, mentre il 37,5% ne dà un giudizio negativo. La sospensione dei versamenti fiscali e contributivi per le imprese più penalizzate è valutato bene dal 33,3%, male dal 46,9%.
I commercialisti, insomma, apprezzano lo sforzo statuale nel supportare gli operatori economici e i lavoratori durante il blocco di mercati e imprese. Ma sostengono che non basta.

pmi e covid: urgente un’accelerazione delle misure

Per evitare la moria di piccole imprese, i commercialisti ritengono necessario intervenire qui e ora agendo su quello che non ha funzionato.
Il 79,9% dei commercialisti auspica più chiarezza nei testi normativi, il 76,7% chiede tempestività nei chiarimenti sulle prassi amministrative, il 70,7% molti meno adempimenti, il 67,2% una migliore distribuzione delle risorse pubbliche tra i beneficiari, il 61,1% una più efficace combinazione delle misure adottate, il 58,4% un taglio netto dei tempi necessari per l’effettiva erogazione degli aiuti economici, il 49,9% ritiene necessari stanziamenti economici più consistenti.

I commercialisti promuovono gli strumenti di sussidio per i diversi beneficiari. Ma bocciano l’effettiva applicazione delle misure, a causa della burocrazia che rallenta tutto. Occorre snellire gli adempimenti burocratici e i passaggi formali per rendere gli interventi più efficaci: questo chiedono i commercialisti, convinti che le imprese vadano aiutate a resistere oggi, per non morire e per ripartire domani.

Tagliare le unghie alla cattiva burocrazia

Il 41% dei commercialisti ritiene che si debba essere pronti a tutto, perché tutto può succedere. Il 27,6% sottolinea l’ansia pervasiva provocata dalla nuova ondata di contagi. Come in un videogioco con tante scelte possibili e altrettanti finali: appare così il destino delle imprese italiane, tra virus, restrizioni e burocrazia che non funziona. Per il 40,7% dei commercialisti ci vorrà molto tempo per uscire dalla crisi, il 26,9% ritiene che occorre adattarsi subito alle nuove condizioni o non ci sarà crescita, il 24,2% pensa che molti settori vitali siano ancora in difficoltà.

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